TONNARA FAVIGNANA

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l'ex stabilimento florio di favignana

e la sua storia

La genesi dell’ l’ex Stabilimento Florio di Favignana , il più importante e moderno stabilimento industriale del Mediterraneo per la lavorazione del tonno, costruito nella seconda metà dell’800 per iniziativa del senatore Ignazio Florio (1838-91), è comprensibile pienamente se si focalizzano alcuni aspetti che non attengono solo al complesso di attività poste in essere dalla più prestigiosa dinastia di borghesi imprenditori siciliani nei settori commerciale, industriale e finanziario, lungo tutto il secolo XIX.
Basti ampliare il campo di osservazione e di indagine, infatti, per rendersi conto di quanto siano antiche e profonde le radici dello Stabilimento e di quanto sia stato rischioso assumere la decisione di costruirlo. L’andamento della produttività delle tonnare delle Egadi, la creazione di un insediamento abitativo a Favignana sin dal XVII secolo, la progressiva formazione, generazione dopo generazione, di una cospicua forza lavoro “specializzata” (raisi, sottopadroni, faratici, muxiari, semplici tonnaroti), in grado di assicurare lo svolgimento del ciclo produttivo, dalla cattura dei grandi cetacei alla lavorazione del pescato, la forte concorrenza interna e internazionale per il controllo dei principali siti di pesca del Mediterraneo, rappresentano solo alcuni dei temi da considerare nella ricostruzione delle origini e della storia del grandioso complesso industriale. L’acquisto delle isole (tonnare incluse), nel 1874, dai proprietari genovesi Pallavicini, al prezzo convenuto in contratto di 2.750.000 lire, non fu indotto da megalomania, né dettato da esigenze di status simbol del senatore, bensì rappresentò un traguardo nella strategia familiare ottocentesca. La gestione in gabella di diversi impianti di pesca siciliani – Vergine Maria, Arenella, Isola delle Femmine, Marzamemi, Favignana e Formica – era stata sperimentata ripetutamente in passato, con alterne fortune, sia dal padre che dallo zio di Ignazio Florio. Tuttavia, rispetto all’esperimento di semplice conduzione in affitto delle tonnare delle Egadi compiuto dal padre, don Vincenzo, nel periodo 1841-59, è innegabile che il salto di qualità del 1874 sia stato rilevante sotto ogni profilo.

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Il primo nucleo dello Stabilimento – il cosiddetto edificio “Torino” – era stato costruito sul versante opposto a quello sul quale sorgevano gli antichi edifici (marfaraggio), per iniziativa del gabelloto genovese Giulio Drago che, dal 1860, aveva preso in esercizio gli impianti, dopo la rinuncia di Vincenzo Florio. Era già nelle intenzioni del Drago trasferire le attività più propriamente industriali in un’area lontana dal centro abitato, in nuovi locali per il confezionamento del tonno in barili sotto sale e in scatole di latta sott’olio.
Solo dopo l’arrivo di Ignazio Florio, nuovo proprietario delle Egadi, a quel corpo di fabbrica si aggiunsero, tra il 1881 e il 1889, i grandiosi magazzini, le sale di confezionamento del pescato e le strutture di servizio per tutti gli addetti, oltre ad una vasta area aperta – denominata camposanto – destinata all’essiccazione delle teste dei tonni, per ricavarne olio per uso industriale.
Fino alla metà degli anni settanta dell’800, il senatore si era avvalso dell’architetto Giuseppe Damiani Almeyda per committenze di lavori da svolgere a Palermo e per la progettazione del palazzo di villeggiatura a Favignana.

Dall’inizio del successivo decennio, invece, il nuovo artefice delle opere da realizzare nelle isole, per conto di Casa Florio divenne l’ingegnere Filippo La Porta, il quale aveva già diretto i lavori dell’edificio padronale favignanese, in assenza del Damiani Almeyda. Quattro grandi tavole di progetto acquerellate, firmate dal La Porta, furono esibite nel 1891 all’Esposizione Nazionale di Palermo, per illustrare non soltanto le dimensioni, la struttura e la funzionalità degli ambienti, ma anche la correlazione tra tipologia architettonica e nuovo modello industriale. Ignazio Florio affidò la gestione dello Stabilimento a Gaetano Caruso, il più valido dei suoi amministratori: «…egli è il direttore, l’organizzatore, il creatore dello stabilimento, […] non è un semplice amministratore, che si limita ad impiegare le cure di un buon padre di famiglia per regolare andamento della cosa amministrata […] e sospinto da una passione ardente per lo sviluppo di una industria, che può dirsi sua creazione, egli ne studia con amore indefesso l’organismo, così nei suoi più minuti dettagli come nel suo complesso, ne perfeziona i congegni, ne invigila con instancabile alacrità tutti i movimenti, moltiplicandosi, presenziando tutto, perché rinvigorito dalla potenza della sua ferrea volontà» (da La Settimana commerciale e industriale, 15 maggio 1892).

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In questa nuova e moderna realtà produttiva, di molto somigliante alle cittadelle operaie continentali, si riuscì a organizzare un ciclo lavorativo che coinvolgeva alcune centinaia di addetti: «Buttati i pesci dalla barca nell’acqua della spiaggia, vengono immediatamente uncinati in un occhio, legati con corda alla coda, tirati nello sbarcatoio e disposti in tre ordini simmetrici. Appena formata la prima fila, sei operai con un’accetta fanno in un attimo quattro tagli: uno per tagliare la testa, la quale vien subito portata via, due trasversali ed uno longitudinale per estrarre le interiora, le quali da un altro operaio, che accorre istantaneamente con un mastello, vengono portate in apposito locale. Appena sventrato il pesce, vien posto sulle robuste spalle di un uomo, il quale lo trasporta in magazzini dal tetto basso da cui pendono innumerevoli corde, alle quali i tonni vengono appiccati per la coda, perché ne possa colare il sangue per parecchie ore. […] Una serie di magazzini è destinata al riempimento delle scatole ed alla conservazione dei prodotti. L’intero stabilimento è illuminato a gas, la cui forza motrice viene utilizzata per estrarre l’acqua da un pozzo e per altri usi» (da La Settimana ecc. cit.). Il tonno tagliato a pezzi veniva cotto in 24 grandi caldaie e, successivamente, posto ad asciugare in ceste di ferro collocate in magazzini ben ventilati. In un altro ampio locale si effettuava la lavorazione delle latte, mediante utilizzo di macchine e saldatrici. Alla citata Esposizione del 1891-92, Casa Florio, nel proprio padiglione dedicato alla pesca del tonno, presentò tarantello e ventresca nelle innovative scatolette di latta con apertura a chiave. Con la costruzione dello Stabilimento, il rinnovato impulso dato alla pesca e alla commercializzazione del pregiato prodotto, sui principali mercati nazionali e stranieri, fu ampiamente ripagato dal successo, in termini di immagine e di profitto. E anche quando, nei primi decenni del ‘900, le sorti di quello che era stato il più importante gruppo industriale e finanziario siciliano apparivano segnate, lo Stabilimento Florio, pienamente attivo e produttivo, sopravvisse al fallimento della dinastia imprenditoriale, passando, a fine anni trenta, prima nel novero delle aziende di proprietà dell’I.R.I, poi nelle mani degli industriali genovesi Parodi e da questi, infine, alla Regione Siciliana.

il restauro

Il restauro dell’ex Stabilimento Florio di Favignana, progettato dall’arch. Stefano Biondo, è stato realizzato grazie ai fondi europei del POR 2000-2006; i lavori, avviati dallo stesso arch. Stefano Biondo e poi diretti e completati dall’arch. Paola Misuraca, hanno rappresentato uno dei più significativi impegni, sia dal punto di vista finanziario che professionale, affrontato dai tecnici della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani. Un lungo cammino interdisciplinare, durante il quale architetti, impiantisti, storici, con il supporto di antropologi, amministrativi, grafici, fotografi e studiosi si sono confrontati ed unitamente hanno ricercato e progettato, per restituire alle Egadi, alla Sicilia e non solo, una delle più grandi tonnare del Mediterraneo.

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Circa 32.000 mq la superficie complessiva, di cui oltre tre quarti di superfici coperte; una serie di corti attorno alle quali si articolano e distribuiscono spazi e ambienti diversi per dimensioni e destinazioni d’uso: uffici, magazzini, falegnameria, officine, spogliatoio per gli uomini e spogliatoio per le donne, magazzino militare, stiva, galleria delle macchine, trizzana e malfaraggio (per il ricovero delle barche), locali a servizio della lunga batteria di forni per la cottura del tonno e, svettanti su tutto, tre alte ciminiere. Superficie oggetto d’intervento mq 19.848, superfici di coperture ripristinate 9.000 mq; 27.500 mq di superfici parietali restaurate; circa 16.759 mq di pavimentazioni; 350 mc di legname impiegati per capriate ed orditure, 53.000 ml di cavi elettrici, ecc.

Contributi: Testo a cura della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani – Foto d’epoca scattate all’interno dell’ex Stabilimento Florio

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